martedì 8 dicembre 2009
sur la route des pas perdus
Orfani ancora. Ci ritroviamo a camminare a braccia cadenti.
Tutto quello che facciamo, ogni azione che prende vita, ogni pensiero che chiede forma. Richiesta incondizionata e mai corrisposta.
Dove sono?
E perché ci sono finita, proprio nel mezzo?
un colore complementare inesistente.
Si può sempre pensare di sapere tutto?
Salade de fruits au sirop.
Sarà quello schifo di mostarda, immagino.
Con foglie e biscottini al burro.
Forse il problema è sbagliare sempre i tempi. Ecco l’errore,
sempre in anticipo o appena un attimo dopo.
E in quel fuoritempo essere sempre fuoriluogo.
Chi ha sciolto il nodo? Chi ha chiesto aiuto?
Nel verde totale -solo verde e niente altro- un uomo corre da solo.
Come me, che corro immobile su questo piccolo treno.
Avanzare, qualunque cosa accada. Bisogna avanzare.
Anche un pochino, un passo piccolo e incerto è sufficiente.
Uno spostamento impercettibile.
Un altro conto è se devi tornare indietro risalendo scale mobili di una stazione francese che ti conducono inevitabilmente verso il basso.
Lì ci vuole scatto di reni. E saper essere fuori sincrono.
Aggrapparsi con tutte le forze all’idea e lasciarsi scorrere all’indietro e con convinzione solo il passamano di gomma nera che ti vorrebbe trascinato a forza nel limbo della sala d’attesa. Mentre tu dovresti essere su, al binario giusto -indicato in modo davvero incomprensibile- e prendere quel treno, l’ultimo treno.
(Sfiorare, sempre e solo sfiorare la vita.
Accanto, girando intorno, mai mai mai attraverso.
Ho perso l’intersezione delle cose.)
Se osserviamo un fiore di plastica ben fatto - e penso a Gonzalo mentre dico queste cose - penseremo sicuramente: bello! sembra vero.
E come ogni umana contraddizione vuole, osservando un fiore vero: bello! sembra finto.
Ecco, alla fine mi domando, cosa sarà mai questa bellezza?
Non saprei, ma una cosa è certa: questi fiori non hanno odore.
E il profumo dei fiori freschi nell’erba appena tagliata (il vento di maestrale che porta il mare), è tutta la bellezza del mondo che conosco.
Potremmo concludere così: che la bellezza, quella autentica, profuma.
E’ tremendamente…
Bisognerebbe poter piangere. Bisognerebbe saper piangere, in certi casi.
Bisognerebbe poter vuotare la mente dai pensieri e conservare solo le immagini e qualche sogno.
Una fotografia mai scattata (immagine mai esistita): una volta ti ho portato al ristorante di legno bianco nel porto dell’abbazia.
Che giorno è oggi.
Mi sfuggono le date. Rimangono i volti.
E la sensazione di conoscere tutti su questo treno mentre fuori scorre piano il paesaggio zebrato.
Il bambino con lo zaino che camminava ad occhi chiusi immaginando il sole ora è seduto di fronte a me. Accanto, due tizi di cui non capisco la lingua puzzano di crauti e hanno un cane piccolo che avrà sbattuto il muso contro una porta, da giovane.
Anche la ragazza con il maglione verde e la valigia grande. Conosco già il suo modo elegante di sistemarsi gli occhiali di osso su per il naso. E so bene anche come mastica.
Forse questo essere senza pesi né ancore né appigli, in nessuna parte del mondo e per nessuna ragione al mondo più, crea legami con il mondo al di fuori del mondo, nei segni e nelle visioni?
Scrivo solo in movimento.
Mai da casa. Mai più.
Forse per ripercorrere quel moto perpetuo circolare che è servito solo a perpetrare la fine.
Prendo le distanze da tutto quello che l’assenza ha portato. Ecco. Potrei dire di essere più presente a me stessa, allontanandomene.
Il ragazzo con gli occhi grandi che profuma di una canzone dei radiohead - non ho ancora capito bene quale canzone, potrebbe essere Punchdrunk Lovesick - ora dorme.
Tra un attimo - " cause no one can touch me "- mi guarderà a lungo.
E io piangerò. Finalmente.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento